Quando ho pensato che sarei potuto andare in Scozia, un brivido mi ha percorso la schiena. In quel momento ho scelto la meta del mio viaggio. Ero pieno di punti interrogativi: non facevo un viaggio in solitaria da molto tempo, non facevo un viaggio di oltre due settimane da tre anni, non facevo una tappa di oltre 1100 km da tanto, non sapevo se mi sarei annoiato da solo, non riuscivo a immaginarmi la circolazione a sinistra. Non avevo molte certezze, se non quella che a 28 anni devi spaccare il cielo dalla voglia di scoperte. Un bagno nell'incoscienza, che fa sempre bene a qualsiasi età, e via. Ormai avevo fatto sapere a tutti che sarei andato, non potevo più ritrattare, altrimenti sai che figura. Quel viaggio andava fatto, la voglia di moto è più forte di tutte le distanze.
I mesi precedenti li passo a rifinire e definire gli itinerari, ripassare i tempi di percorrenza, comprare un nuovo completo anti pioggia (rivelatosi non infallibile), e informarmi un po' leggendo la Lonely Planet, ma la testa era sempre al viaggio. E tornavano sempre quei maledetti punti interrogativi, sembravano svolazzarmi davanti agli occhi e provare a scacciarli come un insetto fastidioso serviva a poco. Quando parlavo del viaggio, cercavo di non mostrare quell'incertezza che avrebbe fatto capire immediatamente un fallimento ancor prima del successo. Sorriso e voglia di libertà, ma dentro ero tutto un dubbio.
Il giorno della partenza queste incertezze sembravano scomparse, svanite nell'aria fresca dopo il temporale. Sono le 4:30 di giovedì 7 agosto. Tutto intorno il silenzio della notte, e quasi mi faccio problemi ad accendere la moto. Cerco di accenderla dopo essermi infilato guanti e casco per minimizzare il disturbo. Parto, comincia il viaggio che ho sognato per mesi.
L'entusiasmo della partenza, l'umore al massimo e la voglia di moto sono preziosi alleati nelle lunghissime tappe autostradali. Sono deterrenti per la noia, e aiutano a sopportare un viaggio di 1180 km senza quasi accorgersene. Arrivo nel tardo pomeriggio al porto di Calais, faccio il biglietto del traghetto, esco dal porto per andare a fare il pieno e ci ritorno poco dopo per mettermi infila al check-in. Ho stupidamente lasciato a casa il mio passaporto, e la mia carta d'identità scritta in italiano e tedesco desta sospetti ai doganieri che se la tengono qualche minuto confabulando tra loro chissà quali discorsi. Spiego stizzito che è bilingue perché dove vivo parliamo due lingue. Sorridono, evidentemente si saranno detti cose molto peggiori e passo il punto di controllo. Sono in fila per il traghetto, dopo 1218 km. Il peggio è fatto. Adesso inizia il bello. La traversata dura un'ora, i minuti prima dello sbarco sono un po' teso: da adesso dovrò guidare a sinistra. Ho letto che gli inglesi sono molto tolleranti con i "continentali", lasciando adeguate distanze di sicurezza ed evitando di mettere pressione. Tutte impressioni confermate, e dopo un centinaio di metri ho già preso confidenza con la guida a sinistra. Trovo l'ostello che avevo prenotato, orribile, ormai sono le 20:30 e ho bisogno di riposarmi e porre fine a questa giornata infinita.
I mesi precedenti li passo a rifinire e definire gli itinerari, ripassare i tempi di percorrenza, comprare un nuovo completo anti pioggia (rivelatosi non infallibile), e informarmi un po' leggendo la Lonely Planet, ma la testa era sempre al viaggio. E tornavano sempre quei maledetti punti interrogativi, sembravano svolazzarmi davanti agli occhi e provare a scacciarli come un insetto fastidioso serviva a poco. Quando parlavo del viaggio, cercavo di non mostrare quell'incertezza che avrebbe fatto capire immediatamente un fallimento ancor prima del successo. Sorriso e voglia di libertà, ma dentro ero tutto un dubbio.
Il giorno della partenza queste incertezze sembravano scomparse, svanite nell'aria fresca dopo il temporale. Sono le 4:30 di giovedì 7 agosto. Tutto intorno il silenzio della notte, e quasi mi faccio problemi ad accendere la moto. Cerco di accenderla dopo essermi infilato guanti e casco per minimizzare il disturbo. Parto, comincia il viaggio che ho sognato per mesi.
L'entusiasmo della partenza, l'umore al massimo e la voglia di moto sono preziosi alleati nelle lunghissime tappe autostradali. Sono deterrenti per la noia, e aiutano a sopportare un viaggio di 1180 km senza quasi accorgersene. Arrivo nel tardo pomeriggio al porto di Calais, faccio il biglietto del traghetto, esco dal porto per andare a fare il pieno e ci ritorno poco dopo per mettermi infila al check-in. Ho stupidamente lasciato a casa il mio passaporto, e la mia carta d'identità scritta in italiano e tedesco desta sospetti ai doganieri che se la tengono qualche minuto confabulando tra loro chissà quali discorsi. Spiego stizzito che è bilingue perché dove vivo parliamo due lingue. Sorridono, evidentemente si saranno detti cose molto peggiori e passo il punto di controllo. Sono in fila per il traghetto, dopo 1218 km. Il peggio è fatto. Adesso inizia il bello. La traversata dura un'ora, i minuti prima dello sbarco sono un po' teso: da adesso dovrò guidare a sinistra. Ho letto che gli inglesi sono molto tolleranti con i "continentali", lasciando adeguate distanze di sicurezza ed evitando di mettere pressione. Tutte impressioni confermate, e dopo un centinaio di metri ho già preso confidenza con la guida a sinistra. Trovo l'ostello che avevo prenotato, orribile, ormai sono le 20:30 e ho bisogno di riposarmi e porre fine a questa giornata infinita.
LE FAMOSE SCOGLIERE DI DOVER